Dibattito, tra gli amici di Hong Kong, presso HERE

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Dibattito, tra gli amici di Hong Kong, presso HERE

Stefano De Paoli, Rappresentante in Italia di Invest Hong Kong – Riccardo Fuochi, Presidente Associazione Italia-Hong Kong – Marco Marazzi, Presidente di Easternational – Alberto Bradanini, ex-Ambasciatore italiano a Pechino, Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea e grande esperto di Cina

Dibattito di grande spessore intellettuale, martedì sera al Centro congressi Here di Milano, a margine dell’Assemblea Annuale di Sviluppo Cina. Un’analisi sapiente e uno scambio di opinioni sull’attuale crisi che Hong Kong sta attraversando, a causa delle manifestazioni di protesta che si protraggono ormai da oltre 4 mesi, tra alcuni dei maggiori esperti italiani della Cina contemporanea, in tutti i suoi risvolti politici, economici e sociali. Moderato da Stefano De Paoli, presidente di Sviluppo Cina e rappresentante in Italia di Invest Hong Kong, il dibattito è stato animato dall’Ambasciatore Alberto Bradanini, Marco Marazzi, presidente di Easternational e Riccardo Fuochi, presidente dell’Associazione Italia-Hong Kong. Accordo di massima tra gli esperti intervenuti, sulle cause e gli effetti della crisi, come pure sui possibili interessi internazionali che la alimentano. Superata la causa originaria delle proteste, con l’abrogazione definitiva del disegno di legge che tentava di dotare la regione autonoma di uno strumento che consentisse l’estradizione di imputati di crimini, da Hong Kong a Taiwan e Cina continentale, una parte della popolazione non sembra soddisfatta, aumentando sempre di più il livello delle richieste al governo di Hong Kong. Anche se una parte, probabilmente maggioritaria della popolazione, non sostiene più le manifestazioni, ritiene molte delle attuali richieste irragionevoli e ne condanna i metodi violenti, è difficile intravedere una via d’uscita a breve termine. La difficoltà principale è l’assenza di interlocutori credibili con cui negoziare, oltre ad aspetti strettamente legati alla cultura cinese, che impone una conclusione dignitosa per ognuna delle parti in gioco. Sarebbe auspicabile che la popolazione di Hong Kong contraria al perdurare delle proteste si facesse “contare”, organizzando una contro manifestazione che oscuri numericamente i manifestanti, togliendo forza e credibilità alle frange violente agli oppositori del governo della regione autonoma di Hong Kong.

L’appuntamento delle elezioni politiche del prossimo anno a Taiwan, potrebbe coincidere con la fine delle pressioni esterne sui manifestanti, alimentate verosimilmente dal partito del Paese che si oppone con maggior determinazione ad ogni accordo con Pechino, certamente interessato a dimostrare il fallimento del geniale processo avviato da Deng Xiaoping, definito “Un Paese, due Sistemi”. Il principio, applicato finora con successo a Hong Kong e a Macao, aveva l’obiettivo dichiarato di convincere la popolazione di Taiwan che avrebbe potuto seguire con successo lo stesso modello, ora contestato con gli esiti che conosciamo dai manifestanti di Hong Kong. In questo scenario gli USA, chiamati a sostegno delle proteste, dai manifestanti di Hong Kong, hanno buon gioco, nella partita in cui sono impegnati a contrastare la crescita economica cinese, con la guerra dei dazi e con ogni altro mezzo disponibile.

Questo il succo degli interventi, al netto di elaborate escursioni tra la storia, la cultura e la filosofia dei rapporti di Pechino con Hong Kong e con le principali potenze, che hanno portato il microscopico territorio di Hong Kong ai vertici delle economie mondiali, con privilegi invidiati dai 1,4 miliardi di cinesi, in quanto a libertà di stampa, di espressione e di impresa, benessere e apertura al mondo occidentale. Privilegi che la crisi economica innescata dalle proteste, con danni ingenti al turismo e al commercio, rischiano di crollare sulle stesse teste dei giovani manifestanti, che non hanno mai conosciuto la povertà e i sacrifici dei propri connazionali oltre frontiera.

Non mancano, ovviamente, motivi di insoddisfazione per i cittadini di Hong Kong, primo fra tutti il problema della casa, inaccessibile alle famiglie con redditi medio-bassi, a causa dei prezzi immobiliari tra i più alti al mondo. Il Governo, o forse il sistema, più che il governo, ha qualche responsabilità, per aver fornito un ambiente che ha favorito le speculazioni delle ricche proprietà immobiliari, che hanno portato a questa situazione. Il recente programma politico di Carrie Lam, che impegna il governo di Hong Kong a ristabilire la pace sociale, migliorando la qualità della vita (vedi www.linkedin.com) dimostra che le manifestazioni, almeno quelle pacifiche, hanno risvegliato la sensibilità del governo verso le esigenze delle fasce meno abbienti della regione autonoma cinese.