Cina: Firmata Carta dei Diritti Umani
A vent’anni dalla repressione del movimento democratico di Tiananmen la Cina presenta il suo primo piano d’azione concreto sui diritti umani promettendo ai propri cittadini maggiori protezioni legali, più canali attraverso cui esprimere le proprie idee e più fondi proprio per l’educazione sociale sui diritti umani. È un segnale del governo alla Cina e all’America, il Paese con cui Pechino sta meditando un’alleanza, ben conscia che la differenza dei sistemi politici costituisce il maggiore ostacolo all’avvicinamento strategico. Il «piano di azione per il 2009 e 2010» è organizzato come i piani economici cinesi, con capitoli chiari, bilanci precisi e azioni concrete da attuare in questo biennio. Esordisce con una dichiarazione di principi che sembra pensata per rieccheggiare la Costituzione americana: «La piena realizzazione dei diritti umani è l’ideale a lungo perseguito dall’umanità ed è anche l’obiettivo per il quale il governo e il popolo cinese hanno a lungo lottato».
Questo ideale e questa lotta però devono essere compresi e letti alla luce delle condizioni di sviluppo, dell’economia, della geografia, della cultura e della storia cinese, spiega con pragmaticità il documento subito dopo. Ma, pur con tutta questa serie di cautele, il documento proposto dal governo della Repubblica Popolare parla di democrazia e cita la parola «socialista» una sola volta, come aggettivo per definire la modernizzazione in corso nel Paese.
Il documento sceglie di ignorare i casi singoli di arresti, di repressioni, e annuncia invece principi generali che dovranno essere rispettati dalle autorità per tutta una serie di «corpi deboli» della società cinese. Ci sono capitoli sui contadini, gli operai, la religione, le minoranze etniche, le donne e i bambini, gli anziani, gli handicappati. C’è spazio per i diritti dei detenuti, e per quelli delle persone sottoposte a un processo. Le novità più importanti riguardano i diritti di categorie politicamente delicate per il governo cinese, come i gruppi religiosi o le minoranze etniche, come tibetani e uiguri, che si sono spesso ribellate al governo di Pechino. Per le questioni religiose la novità politicamente più importante riguarda un incoraggiamento alle attività sociali dei gruppi di credenti. Questo aspetto era rimasto finora in una zona grigia, perché in realtà va a sconfinare in uno spazio che una volta era dello Stato e che oggi è stato lasciato libero, ma non era finora chiaramente definito. Il «piano» invece spiega che «il governo incoraggia e sostiene anche gli ambienti religiosi a lanciare programmi di assistenza sociale, ed esplorare metodi e canali per cui le religioni possano meglio servire la società e promuovere il benessere della popolazione».
Per quanto riguarda i tibetani e gli uiguri (quest’ultimi musulmani, maggioranza nella regione occidentale del Xinjiang), il documento del governo propone di aumentare la diffusione dell’educazione bilingue e diffondere giornali e mezzi di comunicazione in tibetano ed uiguro. L’enunciazione di questi principi può apparire vaga e rischia certamente di essere soggetta agli eventuali cambiamenti di clima politico nel Paese. Ma c’è un importante elemento di lungo termine nel nuovo piano di azione: il governo ha deciso di incoraggiare l’educazione sui diritti umani nelle scuole, tra gli studenti. L’ultimo aspetto del documento governativo è poi destinato probabilmente ad avere un impatto quasi immediato su scala globale. Per la prima volta infatti la Cina dichiara il suo impegno sulle questioni dei diritti . In altre parole vengono sconfessati anni di politica estera «agnostica» sulla situazione dei diritti umani in tanti Paesi. Naturalmente questo non significherà che da oggi in poi Pechino avrà un voltafaccia nei confronti dei suoi vecchi alleati, che hanno politiche interne a dir poco molto controverse, come per esempio il Sudan o l’Iran. Ma certamente significa che le relazioni di Pechino con questi Paesi dovranno da oggi in poi, su piani diversi, allinearsi di più ai principi promossi dall’Occidente