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La nuova FOOD SAFETY LAW Cinese

GN Lex

International Law Firm

La nuova FOOD SAFETY LAW Cinese

L’Assemblea Nazionale del Popolo Cinese ha recentemente approvato la legge sulla sicurezza alimentare la cui ultima versione risaliva al 2008. La novellata normativa (che entrerà in vigore dal 1 ottobre 2015) oltre a prescrivere rigidi accorgimenti che sicuramente avranno un forte impatto sulle imprese alimentari (sia quelle locali che quelle straniere), presenta numerose novità collegate al mutato scenario socio-economico (mi riferisco, in particolare, alla rafforzata tutela del consumatore, scelta che sicuramente dipende dalla PRChina Law for protection of rights and interests of the consumers entrata in vigore nel 2014 ma soprattutto alle numerose disposizioni dedicate alla vendita di prodotti on-line che, come sappiamo, rappresenta una delle modalità più diffuse oltre la Grande Muraglia).

La novellata legge introduce disposizioni che aggravano la responsabilità dei produttori di alimenti e delle amministrazioni locali e, nel contempo, enfatizza il ruolo di controllo dei cittadini nel vigilare su comportamenti lesivi della sicurezza nel campo alimentare (questa scelta, non nuova nel panorama giuridico cinese, conferma il ruolo di primaria importanza che il Governo assegna alla sicurezza alimentare che, per tale motivo, viene affrancata dal ruolo di materia riservata alla gestione pubblica per diventare “res publica” nel senso di bene comune, alla cui tutela e preservazione devono concorrere non solo gli apparati statali pubblici ma anche i singoli cittadini) (1).

Il previgente sistema era rallentato dall’eccessiva burocrazia in quanto differenti autorità era deputate a controllare specifiche fasi del ciclo produttivo alimentare, dalla produzione fino alla distribuzione e ristorazione. La nuova legge ha semplificato tale modello attribuendo tutte le funzioni di controllo ad un’unica autorità (la CFDA China Food and Drug Administration).

1 Una analoga procedura era stata sperimentata nel 2009 in tema di controllo dei cittadini sul rispetto dei limiti massimi di inquinamento dell’ambiente consentiti dalla normativa cinese. In base alle citate disposizioni, qualunque cittadino avesse notizia di un’attività industriale svolta in dispregio dei limiti massimi di inquinamento ambientale imposti dalla legge locale, aveva il dovere di segnalare / denunciare tale circostanza alle competenti autorità affinché queste potessero prendere i provvedimenti del caso.

Sempre nell’ottica della semplificazione, la nuova legge ha abolito le diverse licenze (tre) che erano necessarie per produrre cibo (quella per la produzione, quella per la circolazione e infine quella per i servizi di ristorazione) sostituendole con la sola licenza per “la produzione e operatività”.

La rafforzata tutela del consumatore e il coevo intendimento di forte contrasto degli scandali alimentari si sono tradotte in un inasprimento della responsabilità che la nuova legge pone a capo delle aziende che producono prodotti alimentari, stabilendo che esse debbano assumere operatori della sicurezza alimentare in possesso di una speciale abilitazione riconosciuta a livello nazionale; è stato altresì istituito un sistema di monitoraggio degli scandali alimentari che consente, attraverso una speciale forma di archiviazione, a tutti i consumatori di conoscere on-line i dati identificativi dei produttori che siano stati coinvolti in scandali alimentari o siano stati sanzionati per il mancato rispetto delle norme poste dalla nuova legge sulla sicurezza alimentare.

Sempre nell’ottica di offrire un’ampia e strutturata tutela ai consumatori si pone la norma che impone alla aziende che producano latte in polvere per bambini l’obbligo di registrare tutti gli ingredienti, le formule e le etichette presso la sede locale della CFDA.

Per quanto riguarda le vendite di prodotti alimentari on-line, la legge prevede che anche i gestori delle piattaforme on-line che intendano offrire la vendita di prodotti alimentari debbano essere in possesso della licenza di produzione e operatività (di cui abbiamo parlato sopra) e che nel caso di violazione delle norme sulla sicurezza alimentare il gestore della piattaforma sarà responsabile in solido con il produttore per tutti i danni subiti dal consumatore.

La nuova legge stabilisce che i venditori di prodotti alimentari sono obbligati a fornire il nominativo, l’indirizzo e i contatti del distributore del prodotto; inoltre i produttori saranno tenuti a creare un sistema di tracciabilità del prodotto adeguatamente affidabile e dovranno altresì sottoscrivere una polizza assicurativa circa la sicurezza del proprio prodotto alimentare mentre gli esportatori dovranno generare un sistema che consenta di verificare se/come i loro prodotti rispecchiano gli standard della legge cinese mentre nel caso in cui la vendita avvenga on-line, dovranno ottenere anche essi la già citata licenza per la produzione e operatività.

Le etichette dei prodotti di importazione dovranno obbligatoriamente contenere le seguenti informazioni in cinese mandarino: nome del prodotto, peso netto, ingredienti, additivi, termine minimo di conservazione, modo di conservazione e di stoccaggio, istruzioni per l’uso del prodotto, luogo di produzione, contatti dell’esportatore e del distributore.

Per quanto riguarda, infine, le sanzioni derivanti dalla violazione delle regole di sicurezza o in tema di aggiunta di additivi non approvati o di altre sostanze dannose per la salute, la legge prevede che il trasgressore debba pagare una multa pari al prezzo del prodotto moltiplicato per 15-30 volte. Nel caso in cui il consumatore subisca un danno, potrà richiedere al produttore (che risponderà in solido con il distributore e l’importatore) una somma a titolo di compensazione pari al triplo del valore della perdita subita e comunque per un importo non inferiore a 1000 RMB. Se la condotta determina anche un grave danno alla salute, il soggetto responsabile sarà chiamato a risponderne anche in base alla Tort Law cinese e potrà essere assoggettato ad una pena pecuniaria per la quale non è prevista una cornice edittale massima.

Se il cibo contraffatto o prodotto in dispregio delle norme igieniche arreca un danno grave alla persona, il produttore sarà chiamato a risponderne anche penalmente e potrà essere condannato – a seconda della gravità delle conseguenze che sono derivate al consumatore – ad una pena della reclusione che va da 3 anni fino all’ergastolo; inoltre è prevista la sanzione amministrativa della revoca della licenza per produrre o per vendere cibi.

Hong Kong: la nuova frontiera del “Food & Wine”.

Hong Kong: la nuova frontiera del “Food & Wine”.

Organizzato in collaborazione con Invest HK, Banca Intesa e Confapi Export.

 

Opportunità e strategie per i produttori italiani nella sfida al mercato cinese ed asiatico

 

Parma, 19 Giugno 2015 – ore 9.45

 

AUDITORIUM di Banca Monte Parma Palazzo Sanvitale – Via Bruno Longhi, 7/B – PARMA

Moderatore: Riccardo Fuochi, Presidente, Confapi Export

 

Programma

 

09.45 registrazione dei partecipanti Saluti e apertura lavori

10.15 Paola Barba – Desk Cina, Internazionalizzazione Imprese, Intesa Sanpaolo

Trend del settore F&B nel mercato cinese e i servizi del Gruppo Intesa Sanpaolo per l’internazionalizzazione delle imprese.

10.35 Jimmy Chiang – Associate Director-General, InvestHK

Hong Kong base privilegiata per penetrare i mercati cinesi e asiatici. Notizie e consigli su come sfruttarne i vantaggi.

11.00 Stefano De Paoli – Rappresentante per l’Italia di InvestHK

Hong Kong-Cina: istruzioni per l’uso agli imprenditori italiani.

11.20 Riccardo Fuochi – Presidente Confapi Export

Servizi di logistica per la distribuzione dei prodotti agroalimentari a Hong Kong e in Cina.

11.40 Dibattito

A seguire buffet e incontri di approfondimento individuali con i referenti di InvestHK, di Intesa Sanpaolo e Confapi Export (previa prenotazione all’atto della registrazione).

 

 

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Ultimo aggiornamento (Giovedì 18 Giugno 2015 08:33)

Validità della clausola compromissoria che rimetta la decisione del lodo in Cina ad un’istituzione arbitrale straniera

Validità della clausola compromissoria che rimetta la decisione del lodo in Cina ad un’istituzione arbitrale straniera

La possibilità per le istituzioni arbitrali straniere di condurre una procedura arbitrale in Cina è da molti anni al centro di un vivace dibattito; la sentenza con cui nel 2006 la Corte Intermedia del Popolo di Wuxi si era rifiutata di riconoscere ed eseguire un lodo pronunciato dalla International Chamber of Commerce a Shanghai ( ) sembrava l’ennesimo tassello a favore della tesi, assolutamente predominante in Cina, secondo cui alle istituzioni arbitrali straniere era preclusa la possibilità di condurre procedure arbitrali oltre la Grande Muraglia.
Nel caso Z. v. W il rifiuto della Corte di realizzare la procedura per l’exequatur del lodo reso dalla ICC non dipendeva dall’invalidità di tale decisione bensì dal fatto che il lodo era considerato “non domestic award” e, come tale, non poteva trovare esecuzione in base alla Legge Cinese sull’Arbitrato.
In un altro famoso caso (D v. N. Imp. & Exp.) la Corte Intermedia del Popolo di Ningbo aveva eseguito il lodo reso dalla ICC riunitasi a Pechino mediante il rinvio alla Conven-zione di New York, applicabile in quanto il pronunciamento era stato qualificato “non domestic award”; Duferco aveva severamente criticato la decisione che, a suo dire, rap-presentava un pericoloso precedente perché qualificava il lodo come “estero” sul presupposto che la legge cinese non permettesse alle istituzioni arbitrali straniere di svolgere giudizi arbitrali sul territorio cinese.

Tale essendo lo stato dell’arte, è ancor più deflagrante l’effetto provocato dalla pronuncia del 2013 (pubblicata solo nell’aprile 2014) con cui la Corte Suprema del Popolo Cinese, decidendo il caso LP v. BP ( ) ha riconosciuto la validità della clausola compromissoria che rimetta la soluzione delle controversie ad un’istituzione arbitrale straniera chiamata a decidere in Cina (nello specifico a Shanghai).
In breve i fatti: la ricorrente è una società cinese della Provincia di Anhui che nell’ottobre 2010 aveva concluso un contratto di vendita con la società straniera: il contratto di vendita conteneva una clausola compromissoria dal seguente tenore letterale: “any dispute arising from or in connection with this contract shall be submitted to arbitration by the International Chamber of Commerce (‘ICC’) Court of Arbitration according to its arbitration rules, by one or more arbitrators. The place of jurisdiction shall be Shanghai, China. The arbitration shall be conducted in English”.
La ricorrente sosteneva che la citata clausola dovesse considerarsi invalida – secondo la legge cinese – per i seguenti motivi: 1) la ICC non era un’istituzione arbitrale riconosciuta dal China Arbitration Act; 2) la Camera Arbitrale non era autorizzata a decidere a Shanghai perché ciò costituiva una violazione della sovranità cinese; 3) se la decisione della ICC fosse stata riconosciuta valida, si sarebbe dovuta qualificare come un “lodo domestico” (domestic award) e conseguentemente la Convenzione di New York non avrebbe potuto trovare applicane (riferendosi solo al riconoscimento in Cina dei lodi arbitrali stranieri e non di quelli “domestici”).
La Corte Intermedia del Popolo di Hefei, sul presupposto che la questione della validità della clausola compromissoria dovesse essere risolta in base alla legge cinese, aveva concluso che il China Arbitration Act non affrontava la possibilità (o meno) di un’istituzione straniera di svolgere in Cina un arbitrato e nel momento in cui entrambe le parti avevano deciso che l’arbitrato dovesse svolgersi a Shanghai, per ciò stesso la decisione arbitrale doveva essere qualificata come “domestica” (e conseguentemente si escludeva la possibilità di applicare la Convenzione di New York il cui Art. 1 si riferisce in modo espresso ai lodi arbitrali “stranieri”).
In secondo luogo, proseguiva la Corte di Hefei, l’Art. 10 del China Arbitration Act (in base al quale “the establishment of an arbitration commission shall be registered with the administrative authority of justice of the relevant province, autonomous region or municipality directly under the central government”) implica che un’autorità arbitrale straniera avrebbe potuto legittimamente condurre una procedura arbitrale in Cina solo dopo aver ottenuto il permesso da parte della competente agenzia amministrativa della giustizia cinese. In mancanza di tale preventiva autorizzazione, la procedura arbitrale condotta in Cina da un’istituzione straniera si doveva considerare illegittima: per tale motivo, aveva concluso la Corte, la clausola compromissoria contestata dalla società cinese si doveva considerare invalida.
L’Alta Corte della Provincia di Anhui, investita della questione in base al reporting sy-stem ( ), si divise in due: la parte maggioritaria dei giudici, pur confermando che il caso dovesse essere deciso in base alla legge cinese, aveva riformato la decisione della Corte di Hefei City sulla base dell’Art. 16 del China Arbitration Act secondo cui “an arbitration agreement shall contain three elements: 1) an expression of intention to apply for arbitration; 2) subject matters for arbitration; 3) a designated arbitration commission”.
Secondo la maggioranza del collegio giudicante cinese, in base alla citata norma, la clau-sola compromissoria contenuta nel contratto dimostrava la volontà delle parti sia di rimettere ad un collegio arbitrale la risoluzione delle eventuali controversie sia, soprattutto, di aver concordemente designato la ICC come ente arbitrale deputato ad emettere il lodo.
La parte minoritaria dei giudici invece negava la validità della clausola, sul presupposto che la legge cinese precludesse agli enti stranieri di condurre arbitrati in Cina.
La Corte Suprema Cinese con sentenza del 25 Marzo 2013, modificando il proprio orientamento ermeneutico ( ), ha accolto le argomentazioni della maggioranza dei giudici della Corte di Anhui stabilendo, in primo luogo, che l’espressione “place of jurisdiction shall be Shanghai, China” contenuto nella clausola compromissoria doveva essere interpretato nel senso che il luogo in cui si sarebbe svolto l’arbitrato era Shanghai, non che si dovesse applicare la legge cinese. Purtuttavia l’applicazione della legge locale dipendeva, secondo la Suprema Corte, dall’Art. 16 delle Interpretazioni (rese dalla Corte stessa) alla Legge Arbitrale Cinese del 2006 in base alla quale il luogo in cui si svolge l’arbitrato individua anche la legge ad esso applicabile. Infine la Corte Suprema, sempre facendo proprie le argomentazioni della maggioranza dei giudici di Anhui, aveva stabilito che la clausola compromissoria fosse valida perché erano soddisfatti i tre requisiti indicati dall’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato.
La sentenza del 2006, come già avvenuto in passato, non affronta il problema dell’ammissibilità (o meno) di una procedura arbitrale in Cina condotta da enti stranieri; ne consegue che l’eseguibilità del lodo arbitrale reso in Cina da istituzioni estere (sulla base di una clausola compromissoria che soddisfi i tre requisiti dell’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato) non è affatto certa. Anzi.
L’Art. 1 della Convenzione di NY, adottata anche dalla Cina, stabilisce che “This convention shall apply to the recognition and enforcement of arbitral awards made in territory of a State other than the State where the recognition and enforcement of such award are sought, and arising out of differences between persons, whether physical or legal. It shall also apply to arbitral awards not considered as domestic awards in the State where their recognition and enforcement are sough”. Mentre il primo criterio si applica ai lodi pronunciati al di fuori della Cina, il secondo criterio si riferisce ai lodi resi da istituzioni estere in Cina e definisce “non-domestic award” solo il lodo regolato da una legge arbitrale diversa da quella del luogo in cui si svolge la procedura arbitrale.
La sentenza della Suprema Corte, pur rappresentando un precedente molto importante, presenta ancora numerosi coni d’ombra che non consentono di trovare una soddisfacente risposta al quesito più importante: le istituzioni estere possono validamente condurre un giudizio arbitrale in Cina? Ancora oggi la risposta a questa domanda dovrebbe essere “probabilmente no” anche se la sentenza Longlide ha aperto uno spiraglio verso una soluzione positiva.
I dubbi ancora da sciogliere sono principalmente due: il primo riguarda la qualifica (“domestic award” o “non domestic award”) del lodo arbitrale reso da enti arbitrali stranieri in Cina; se (allineandosi al caso D v. N.) si proponde per la seconda soluzione (cioè “non domestic award”) si deve stabilire se l’eseguibilità del lodo debba essere effettuata sulla base della Legge Cinese sull’Arbitrato o secondo la Convenzione di New York.
Risolto il primo problema, si tratta di individuare quale sia la corte cinese competente a dare esecuzione al lodo arbitrale dal momento che l’Art. 58 della Legge Cinese sull’Arbitrato stabilisce che il lodo debba essere eseguito dalla Corte Intermedia del luogo in cui si è svolto l’arbitrato condotto dall’istituzione arbitrale cinese scelta dalle parti, ma nulla dice nel caso in cui il lodo sia reso da istituzioni arbitrali straniere.
Forse i tempi non sono ancora maturi per “aprire” in modo così ampio la strada dei giudizi arbitrali in Cina anche alle istituzioni estere ma la sentenza del 2013 della Corte Suprema Cinese si può considerare un significativo passo avanti in questa direzione.

Di: Giampaolo Naronte

Fonte Originale: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2014-11-13/validita-clausola-compromissoria-che-rimetta-decisione-lodo-cina-ad-istituzione-arbitrale-straniera-175729.php